Posted by ombreinluce_silviaT on 20 Ott, 2014 in Di cosa mi occupo | 0 comments
L’autostima consiste nell’atteggiamento che la persona ha verso se stesso, frutto di una valutazione tra l’immagine che ha di sé e l’immagine di ciò che si vorrebbe essere (A.W.Pope, 1992).
Maggiore è la distanza tra quello che pensiamo di essere e quello che vorremmo essere, maggiore sarà l’insoddisfazione e il disagio che sperimentiamo.
Si tratta di una valutazione che ha poco a che fare con l’obiettività: ecco perché capita spesso che persone con scarse abilità ostentino una sicurezza inattaccabile, mentre persone stimate da tutti diffidino di se stesse e delle proprie qualità.
L’autostima funziona dunque come una lente deformante con cui la persona guarda se stessa e le proprie risorse personali, che verranno rimpicciolite o ingigantite.
Ne segue una visione soggettiva che induce ad azioni e comportamenti corrispondenti: una scarsa fiducia nelle mie capacità mi porterà a evitare situazioni in cui queste sono richieste, per il timore di sbagliare o di fare brutta figura; un’autostima elevata indurrà invece a sperimentare situazioni anche al di sopra delle reali capacità della persona, con il rischio di una caduta a picco della stima personale o, nel migliore dei casi, un’attribuzione di responsabilità alle circostanze esterne per spiegare i propri fallimenti.
Questi processi non sono indipendenti dalle situazioni che viviamo o dalle persone che ci circondano, elementi importanti nella definizione di noi stessi e del nostro senso d’identità personale.
L’Identità, secondo Charles H. Cooley (1902), emergerebbe come valutazione riflessa, ovvero come specchio di giudizi e opinioni che riteniamo gli altri si siano fatti su di noi; allo stesso modo William James (1890) per primo affermò che l’individuo ha tanti Sé e modi di essere quante sono le persone che lo riconoscono e la cui opinione è importante per la persona.
George Herbert Mead, a sua volta, descrive l’identità come una costruzione che ognuno di noi opera appropriandosi del punto di vista degli altri (o “altro generalizzato”, 1934); mentre Erving Goffman introduce il concetto di “situazione”, come contesto entro il quale l’identità viene negoziata tra persone, definendola come qualcosa di dinamico e in continuo cambiamento.
Il modo in cui penso a me stesso prende origine non solo dallo sguardo di chi mi circonda, ma anche dal modo particolare con cui io interpreto questo sguardo in una determinata situazione o momento di vita.
Difficoltà legate al senso d’identità e di efficacia personale, problemi di autostima e realizzazione, sensazioni di impotenza appresa, possono generare domande come “chi sono io?” o “cosa voglio?” o affermazioni come “non sono all’altezza, non ce la farò mai”.
E’ possibile lavorare su questi aspetti, individuando i pensieri disfunzionali che mantengono il problema, sperimentando percezioni di sé alternative e ristrutturando l’idea che abbiamo di noi e degli altri.
Identità e autostima sono costrutti in continuo mutamento, sta a noi scegliere la direzione in cui mutarli.