Posted by Silvia Toti on 26 Ago, 2015 in Blog | Commenti disabilitati su Stress da rientro? Se lo pensi, lo vivi!
Dopo le ferie estive o il periodo natalizio, radio, tv e internet si occupano spesso del rientro dalle vacanze, elargendo i più disparati consigli su come superare questo “momento difficile”. Ma, come spesso succede, molti di questi suggerimenti aiutano a creare il problema invece di risolverlo, perché il messaggio che comunicano e trasmettono consiste nel considerare il rientro come un momento doloroso e questo genera un senso di tristezza e depressione che le persone vivono in maniera automatica e scontata.
Chi non ricorda la pubblicità della Costa Crociere in cui la signora si dispera al rientro dalle ferie? In base a quale principio una persona che è stata bene in vacanza dovrebbe ripensare a quei momenti felici piangendo a dirotto? Se prendiamo questo ed altri esempi di rappresentazione della “sindrome da rientro”, l’unica soluzione per porre rimedio alla tristezza non può che essere tornare in vacanza! Evidentemente si tratta di una soluzione non percorribile e che, al contempo, non risolverebbe problema, ma lo posticiperebbe soltanto. Chiediamoci piuttosto quali siano i presupposti che contribuiscono a mantenere il “Problema-Stress-da-Rientro”.
Quando un genitore prepara il figlio al rientro, intimandogli di essere più responsabile nello studio, di comportarsi bene con la maestra, di stare seduto composto perché “non è più in campeggio”, non fa altro che passare il messaggio che d’ora in poi tutte le libertà che ha sperimentato durante le vacanze devono lasciare il posto ai limiti imposti da un contesto serio e rigoroso.
Ben pochi genitori mandano a scuola i propri figli intimando loro di divertirsi! Ovviamente il contesto scolastico ha le sue regole, ma ribadirle anticipatamente contribuisce a creare quella sensazione di “guinzaglio al collo” che renderà insopportabile il rientro, oltre a informare il ragazzo che ci aspettiamo da lui un comportamento poco consono e quindi renderlo un’alternativa percorribile.
Mi viene in mente in proposito la storiella del secondino in un carcere che dice a un detentuto in libera uscita: “Mi raccomando, non fare stupidaggini!”. Se non aveva in mente di farle, ora che qualcuno se le aspetta, le stupidaggini diventano possibili.
Quando il capo si lamenta dei dipendenti distratti, con la testa ancora in vacanza, sta sottolinenando inconsapevolmente la discepanza tra una cosa bella (la vacanza) e una cosa brutta (il lavoro), alimentando la frustrazione della condizione attuale. Inoltre offre una giustificazione al comportamento distratto e ogni giustificazione non fa altro che mantenere il comportamento che vorremmo eliminare.
Al rientro dalle ferie spesso ho sentito raccontare di quanto sia pesante tornare alla routine quotidiana e di quanti giorni manchino alle prossime ferie. Se consideriamo le vacanze come il nostro obiettivo da raggiungere va da sé che tutto quello che sta tra una vacanza e l’altra assume la connotazione di frustrante attesa.
E’ il modo in cui pensiamo al lavoro che fa del lavoro una cosa pesante, noiosa e routinaria. Più che affermare di stare bene soltanto in vacanza, dovremmo forse domandarci cosa della vacanza ci ha fatto sentire più leggeri, liberi e felici, che al lavoro sentiamo mancarci. Potremmo così scoprire ad esempio che non è il non avere impegni a renderci sereni, quanto piuttosto la possibilità di decidere come e quando averli. E’ lo stato mentale che determina come viviamo, non il contrario.
Ci sono persone ad esempio che trascorrono le vacanze programmando gite, mostre, musei, spiagge da visitare, impostando la sveglia all’alba per non perdersi nemmeno una virgola delle meraviglie che offre il mondo al di là della scrivania. Da dove le prendono le energie per ritmi così frenetici quando sono i primi a lamentarsi delle levatacce per un turno di lavoro? Che sia il bisogno di novità, che sia il bisogno di conoscenza o di libertà personale, dovremmo chiederci come soddisfare questi bisogni quotidianamente e non soltanto 15 giorni all’anno.
Ho avuto in terapia manager che si portavano a casa il lavoro e stavano davanti al pc fino a mezzanotte per finire un progetto molto importante; ho conosciuto assistenti socio-sanitari che si portavano a casa i sensi di colpa per non essere riusciti a salvare i loro pazienti o per non essere riusciti a contrastare le ingiustizie all’interno del loro reparto. Ho conosciuto imprenditori che rimanevano bloccati nell’auto parcheggiata per ore, prima di trovare il coraggio e la voglia di affrontare un appuntamento di lavoro. Eppure la vita non è la vacanza, è la quotidianità.
Vivere la vacanza come traguardo non ci aiuterà a ricominciare una nuova stagione lavorativa. Al contrario viverla come una pausa che ci consente di riconoscere alcuni “loop” di pensiero in cui inconsapevolmente ci incastriamo, può permetterci di ricominciare con schemi mentali e atteggiamenti differenti.
Facciamo che le vacanze non evidenzino ciò che ci manca, ma ci offrano un valore aggiunto: la ricarica che arricchisce e modifica il nostro presente.
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